Utilizziamo i cookie per migliorare la tua esperienza sul nostro sito.
Chiudendo questo banner, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.

Luoghi riflessi” – Personale di pittura e installazioni. Oltre Le Vette, Palazzo Bembo, Belluno – 2023

In questa mostra troverete opere prevalentemente pittoriche, alcune delle quali inedite. Ma Giorgio Vazza, pur praticando da sempre la pittura, non si può definire semplicemente un pittore; la sua è una ricerca prismatica e complessa.

Pur seguendo da molti anni una linea rigorosa e coerente, Vazza spazia infatti dalla Land Art alle installazioni, dal libro oggetto alla scenografia, dal disegno minimalista al concettualismo puro. In questo senso è un artista pienamente contemporaneo.

Centrale nel suo percorso è stata l’esperienza dei “Portici inattuali” che si è ripetuta a Sitran d’Alpago per ben 13 anni consecutivi (dal 1989 in poi), forse l’iniziativa più qualificata di arte contemporanea che si sia svolta in quel periodo nella nostra zona.
Sitran è una piccola frazione fatta di case antiche, portici e fienili, quasi un presepe, uno scenario meraviglioso e perfettamente adatto a interagire con gli interventi artistici effimeri, concettuali, quasi immateriali, creati appositamente per quegli spazi dai tanti artisti sensibili alla modalità dell'installazione che si sono succeduti negli anni.
E Giorgio Vazza è stato uno degli ideatori e organizzatori della manifestazione, insieme a Flavio Da Rold, Gaetano Ricci e per un certo periodo anche Roberto Da Re Giustiniani.

Vazza proviene dunque da un’esperienza di costante dialogo con l’arte contemporanea; di conseguenza, oltre che con tele e colori, lavora con i materiali più vari: rami, sassi, fili d'erba, rame, ferro, vetro, plastica, legno… E da ciascun materiale sa far uscire una voce diversa in un’operazione creativa direi quasi corale, che a volte si spinge persino quasi oltre se stessa, sino a comprendere l'interazione interpersonale (si vedano ad esempio gli stupefacenti lavori di Land Art che da qualche anno periodicamente realizza insieme a un gruppo di giovanissimi studenti del suo territorio, usando elementi naturali per interventi diretti nei bellissimi spazi dell’oasi naturalistica del lago di Santa Croce).
Da questo affollato cantiere pieno di cose molto fisiche o comunque ben ancorate alla concretezza, sgorga però una ricerca concettuale aerea, lieve, quasi impalpabile, eppure molto pensata, un'arte "gentile" (perché fatta di naturale eleganza e nobiltà di cuore), che ritroviamo tutta nei lavori di questa mostra.
Dietro alle composizioni pittoriche, insomma, sta qualcosa che non è solo pittura: una consapevolezza della complessità, un'idea di arte che nasce dalle cose quando le cose si incontrano con il pensiero, un'arte che prende forma dal rapporto con i luoghi quando i luoghi diventano prismi.

Questa mostra si intitola “Luoghi riflessi” e per iniziare a parlarne può essere utile partire dalle due uniche opere non pittoriche qui esposte. Si tratta di due installazioni, una delle quali (collocata all’aperto, nel cortile) è stata esposta alla Biennale di Venezia del 1995; mentre l'altra, che si trova in una delle sale, è stata esposta nel 1994 a Topolò, piccola località che si trova al confine fra Italia e Slovenia.

In queste opere protagonista assoluto è l’occhio.

L’opera esposta a Topolò, in particolare, si compone di tanti occhi che Vazza aveva collocato esattamente al confine fra i due territori, su una linea che un tempo costituiva un limite invalicabile. Ponendoli esattamente su quella linea, l’artista invita a guardare oltre: oltre il confine, con tutto quello che di metaforico può rappresentare questa espressione.

Ecco perché le due installazioni possono essere intese come un “introibo”, cioè un’introduzione, un filtro concettuale attraverso cui osservare le altre opere.

L'occhio è una sorta di interfaccia fra l’esterno e l’interno, un portale di ingresso attraverso cui il mondo ci invade, penetra in ciascuno di noi e si trasforma in emozione. Le due installazioni perciò vanno intese come un invito a "guardare oltre", a guardare in modo diverso, e questo spiega il titolo: “Luoghi riflessi”. L’occhio guarda e guardando “riflette”, cioè interiorizza, seleziona, ingloba e dunque opera metamorfosi.

Ma cosa sono i luoghi filtrati dallo sguardo dell'artista? Sono i monti dell’Alpago, le vallate, le distese acquatiche di un lago le cui onde sfumano in distese ancora più vaste di sabbia, sono gli animali, le pecore che in "pascolo vagante" abitano quel territorio. Va da sé che i luoghi non sono solo fisici. Esistono, beninteso, luoghi interiori, luoghi dell'anima; i luoghi possono essere "oggetti" carichi di tensioni emotive, inganni della memoria, situazioni esistenziali, ma forse di fronte a queste opere attraversate come righe di scrittura da campiture orizzontali e quasi sovrapponibili nelle loro infinite variazioni, vale la pena andare oltre la semplice interpretazione naturalistica e abbandonarsi ai mille slittamenti di significato che la parola "luogo" può suggerire senza che nessuno di essi vada a prevalere.

Luogo per eccellenza è però il quadrato, la forma che accoglie il coro delle pennellate morbide e dense, i moti cromatici, le linee allusive che producono onde di senso in perfetto equilibrio fra arte informale e riferimenti figurativi. Certo, nelle opere compaiono scorci di luoghi fisici, alture, acque, sabbie, prati, ma ogni elemento subisce continue trasformazioni e spesso diventa pura alchimia cromatica dove gli arancioni squillanti, gli azzurri, i verdi, i neri si rincorrono sfumando nel tenue dei grigi e degli ocra. Ma la disposizione delle linee è da intendere soprattutto come gesto: le linee orizzontali sono a volte interrotte da graffi verticali, tagli, e così, in forma di croce, l'incastro di orizzontale e verticale dà vita a profili di montagne appena accennate o forse solo a una tensione spirituale verso l'alto, un desiderio di volo.
In questo oscillare tra informale e figurativo, in questo suo poetico lavoro di smaterializzazione delle cose, Vazza sembra suggerire che le cose a loro volta contengono altro, quell'altro che non si può vedere con occhi normali e che solo gli artisti riescono a mostrare.
E la montagna - qui rappresentata, ma anche vissuta, pensata, metaforizzata - risulta essere nella sua verticalità un punto di vista che sbilancia le prospettive non solo spaziali ma soprattutto mentali.

Un ulteriore importante elemento che caratterizza il suo lavoro di smaterializzazione e metamorfizzazione è la riflessione sullo scorrere del tempo e sul conseguente mutare delle cose. Nelle opere di Vazza, come nella realtà, una montagna non è mai identica a se stessa e i riflessi sulla superficie dell'acqua non si ripetono mai uguali. I luoghi possono essere scavo nella memoria o un orizzonte di speranza. Proprio per questo succede che in queste opere alla forma quadrata come luogo dell'evento artistico si sovrappone un altro luogo, forse ancora più evidente, cioè il tempo; perché anche il tempo è un "luogo" da abitare, anzi forse il luogo più umano che si possa concepire, in quanto solo gli esseri umani (e non Dio) lo abitano percependolo come fonte della loro drammatica precarietà.

La figura umana è infatti rappresentata come elemento che si perde nel tutto, con profili appena accennati, forme piccole e vaganti come le pecore protagoniste di un’altra importante esperienza artistica di Vazza: quando l’artista, insieme a un gruppo di pastori, ha seguito a lungo la transumanza delle pecore ricavandone disegni e opere interessantissime.
La figura umana, rappresentata nella sua piccolezza di fronte a una natura sterminata, è però presente: ed è presente anche come forza invisibile, come qualcosa che sta dalla parte opposta al quadro, di fronte al quadro: come occhio, occhio che guarda e riflette, occhio che guardando crea trasformazioni.

Vi invito perciò a visitare questa mostra con spirito di apertura. Non limitatevi a cercarvi elementi naturalistici. Ogni opera è da meditare, uno scenario aperto in cui ciascuno di noi può riflettersi e, volendo, tendere verso l’alto con immaginarie ascensioni su montagne immateriali.

(Alfonso Lentini)