"Pascolo Vagante" – Personale Sala Esposizioni Comune di Puos d’Alpago BL - 2011
Il Pascolo Vagante di Giorgio Vazza
(sintesi dell’intervento critico tenuto in occasione dell’inaugurazione il 21 maggio 2011)
Per due anni, periodicamente, Giorgio Vazza si è messo in cammino al seguito di una coppia di giovani pastori dell’Alpago. Vivendo la transumanza nell’alternarsi delle stagioni, attraverso il costante contatto con le pecore e con la natura è nata una profonda riflessione risoltasi in una nutrita serie di dipinti e schizzi.
Fin dal titolo, questa mostra (Municipio di Puos d’Alpago, fino al 5 giugno) mette in relazione le due sfere complementari dell’uomo e dell’animale non umano. Il vagare, l’essere ramingo del mondo non comprende l’idea di un viaggio lineare e funzionale ma rimanda al concetto di erranza, a un percorso formativo e incerto nel quale l’uomo apprende dagli ostacoli, dal disvelarsi della realtà e dai propri errori. Il pascolo identifica invece il luogo preciso, ancorché generico, nel quale l’animale trova sostentamento. L’uomo e l’animale interagiscono nella vita come nell’arte da tempo immemore ma con profonde differenze a seconda delle diverse epoche. In età umanista, l’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci può essere considerato l’emblema della concezione antropocentrica nella quale l’uomo è misura del mondo, della natura e del cosmo; fin dal medioevo l’essere umano è considerato creatura tesa tra la terra e il cielo, in un costante anelito di ascesa volto a separarsi dal mondo delle bestie per avvicinarsi a quello degli angeli. La cultura umanista, pur nei suoi indiscutibili esiti, non ha reso giustizia all’effettivo apporto che gli esseri animali hanno dato e continuano a dare alle culture e alle civiltà umane. Questa concezione parziale e riduttiva ha trovato il suo apice nell’epoca della grande modernizzazione ottocentesca, quando la cultura borghese e urbana occidentale relega l’alterità animale dietro alle sbarre dei nascenti parchi zoologici. L’epoca delle grandi rivoluzioni tecnologiche e scientifiche che aprirà il Novecento è anche quella in cui il razzismo cerca una legittimazione matematica, individuando nell’animale il campo ontologico del quale liberarsi definitivamente. Eppure, ancora nella società rurale contadina degli anni ’30-‘40, l’animale condivide la vita con le famiglie, contribuendo a consolidarne abitudini, riti, tradizioni, linguaggio e architetture. La pecora, così come altre specie animali cosiddette domestiche, ha tratto profitto dalla convivenza con l’uomo diversi millenni fa. In epoca preistorica, la civiltà della stanzialità, dei riti, della pastorizia e dell’agricoltura, dei villaggi e delle città nasce e si sviluppa proprio in virtù di un maggior contatto con gli altri animali. Divinizzati o adottati, essi non procurano soltanto cibo ma danno informazioni preziose sui fenomeni meteorologici, fornendo anche difesa, utensili e nuovi comportamenti alle comunità. I processi culturali, tecnologici e artistici umani sono maturati grazie al continuo contributo partecipativo degli altri animali.
Il meccanismo perfetto si è incrinato con l’umanesimo e si è rotto con la modernità. Tuttavia, a partire dalla metà del secolo scorso, mentre l’industria e la zootecnia incrementavano il distacco fisico e ontologico fra l’uomo e gli altri animali, è emersa una nuova sensibilità aperta al confronto con l’alterità. Nasce l’idea di un’intelligenza artificiale, della bioetica, di un’epoca post-umanista. Questo spiega anche perché l’animale, a partire circa dagli anni Novanta, inizia ad invadere sempre più gli spazi dell’arte con soluzioni mai viste prima: esso colma un’assenza ma esprime anche una nuova consapevolezza della necessità di ripristinare un confronto e una partnership costruttiva e trasversale.
Questa premessa serve a chiarire come Giorgio Vazza, artista maturo dall’esperienza internazionale che nel 1989 è stato fra gli ideatori della rassegna d’arte contemporanea Portici Inattuali (ha inoltre esposto in varie sedi istituzionali dalla Norvegia agli Emirati Arabi, passando dalla Biennale di Venezia del 1995), affronti oggi un tema estremamente attuale e dalle complesse implicazioni sociali e antropologiche, oltre che artistiche.
Pascolo Vagante è una mostra sul viaggio, sulla ricerca di un ambiente che, pur appartenendoci, gli animali conoscono meglio di noi. Stando alla teoria di Bernard Fibichier (Comme des Bêtes, Losanna 2008) la presenza dell’animale nell’arte funziona nelle diverse epoche come una sorta di misuratore della nostra vicinanza o della nostra lontananza dalla natura, dagli altri animali ma anche da noi stessi. In questo senso, Giorgio Vazza esprime con decisione il bisogno di inseguire e di ritrovare l’animale. L’artista si mette in viaggio affidandosi completamente al gregge, ai pastori e ai cani.
La sintesi lineare, quasi calligrafica, degli appunti disegnati da Vazza esprime l’unità del paesaggio che include uomini e animali. Le pecore vengono ritratte, nei loro lineamenti ritroviamo il nostro volto e i loro profili si alternano enigmaticamente quasi rappresentassero simbolici tarocchi (questa alternanza è sottolineata anche nella proiezione multimediale, visibile in mostra, ideata da Sonia Vazza). In studio, gli schizzi supportano la composizione di grandi tele dipinte ad acrilico. E’ impressionante la resa delle profondità, delle lontananze e delle conformazioni del territorio. Pennellate e spatolate quasi scompaiono nella risoluzione sintetica tutta interna alla dimensione linguistica del dipinto. Ritornano i segni primordiali cari a Vazza: la linea verticale e orizzontale, la curva, l’ogiva. La resa dello spazio nelle sue quattro dimensioni è spiazzante e le cromie variano impercettibilmente: segno di una matura elaborazione interiore del passare del tempo e delle stagioni. In questo è senz’altro evidente l’apice raggiunto dall’artista nella condivisione di frammenti di vita con i greggi, gli uccelli rapaci, gli insetti, i cani e i pastori nella comune transumanza. Questa mostra testimonia un mutamento reale, un’effettiva possibilità di scambio, un’esperienza e una sensazione che permangono al di là dell’evento e dell’istante.
(Luca Bochicchio)